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SERGIO CECCOTTI, “LA VITA NORMALE”
maggio - giugno 2002
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L’occhio indiscreto di Sergio Ceccotti

Lorenzo Canova

Uno sguardo indiscreto percorre le strade di Roma, entra nelle case, ne svela i segreti: un occhio tagliente e profondo capace di aggirarsi in una metropoli attraversata e animata dal sistema nervoso della Tangenziale per scoprire il corpo nascosto, il volto ignoto di questa città ibrida che mescola i templi antichi ai binari di acciaio, le sopraelevate alle rovine classiche, le chiese antiche ai palazzoni popolari.

Questo sguardo acutissimo, che attraversa le pareti, dilata le finestre, scopre nuovi punti di vista all’interno di luoghi che crediamo di conoscere alla perfezione, appartiene al pittore Sergio Ceccotti, un artista del quale si sta finalmente riscoprendo e apprezzando la reale portata nella vicenda della nuova pittura d’immagine.

Ceccotti infatti è un autore che da almeno trentacinque anni sta dando vita ad un arte complessa e stratificata dove le influenze metafisiche sono mescolate alle “citazioni” cinematografiche e ai prelievi dal fumetto (si veda ad esempio King Kong e Diabolik, ambedue del 1968), in una declinazione assolutamente personale che non rientra nei codici della Pop Art né nei confini di un’arte “iperreale”, per toccare, invece, alcuni dei sistemi fondanti di quella pittura che Gabriele Perretta definirebbe “mediale” (fondata su una trama fittissima di riferimenti “meticciati” a tutti i principali campi dell’espressione visiva come films, cartoons, rotocalchi o televisione), una pittura che si è imposta all’attenzione del pubblico da qualche anno e che costituisce ormai uno dei rimandi più forti per la giovane arte contemporanea.

Non è un caso, dunque, che Ceccotti sia spesso invitato a far parte di mostre che raccolgono in prevalenza artisti delle ultime generazioni e che sia apprezzato da buona parte della giovane critica italiana, il cui occhio possiede gli strumenti visivi necessari per comprendere e valutare in modo completo dipinti in cui si mescolano le luci di Hopper (che Ceccotti ha apprezzato e compreso prima che divenisse un artista “di moda” diffusa), le ombre inquietanti delle Piazze d’Italia (ha dipinto un Omaggio a de Chirico già nel 1967), le sequenze intrecciate da comic strips e il mistero dei raggelati tagli cinematografici di Alfred Hitchcock, il cui film Rear Window -La finestra sul cortile appare (come ha già notato Alberto Abate) come un riferimento obbligato per molte opere del pittore romano.

Ma questa che potrebbe sembrare solo come una fredda e studiata operazione di incastri e di rimandi pensati a tavolino, nelle mani di Ceccotti assume invece la vitalità e la freschezza di uno stile del tutto personale, segnato da forti elementi di innovazione che rende l’artista uno dei più significativi pittori della città contemporanea, grazie ad linguaggio seguito e spesso ripreso da molti artisti più giovani.

Così Ceccotti va considerato uno dei massimi interpreti pittorici del volto moderno di Roma, una metropoli cresciuta (non di rado in modo irregolare e discontinuo) intorno al suo nucleo storico con dei caratteri tuttavia spesso del tutto singolari e unici che il pittore è riuscito a cogliere con grande originalità.

Al suo racconto della capitale l’artista infonde però sempre uno scatto in più, un elemento che va oltre la semplice rappresentazione, come quella luce violetta che scende su Roma poco dopo il tramonto, una luce che sembra calare come un impalpabile manto acquoso sulla città per distendersi con una lenta vibrazione di colore sui palazzi, sui ponti e sul Tevere, un ultimo, estremo, chiarore che conversa con modalità misteriose con l’elettricità delle case e dei lampioni per dare vita ad un nuovo e particolarissimo “Impero delle Luci”.

È possibile a questo punto affermare con tranquillità che nella storia dell’immagine della città di Roma (ma anche di Parigi, dove l’artista ha da molti anni un grande successo) la pittura di Ceccotti è assolutamente atipica e trova dei corrispettivi solo nelle immagini della fotografia e del cinema, a partire da Roma Città Aperta di Roberto Rossellini, continuando con Bellissima di Luchino Visconti, con Accattone di Pier Paolo Pasolini, fino a Un borghese piccolo piccolo di Mario Monicelli e Il ladro di bambini di Gianni Amelio.

Con le inquadrature e i “tagli” foto-cinematografici il pittore dialoga del resto abitualmente, servendosi della macchina fotografica come uno degli strumenti principali per la costruzione delle sue opere, una sorta di taccuino di appunti che il pittore può alternare al normale blocco di schizzi ma che viene poi del tutto rielaborato e modificato nella stesura definitiva dell’opera pittorica che non vuole assolutamente avere una semplice impostazione fotografica. L’obiettivo viene tuttavia in aiuto all’artista soprattutto quando la scena è ripresa da uno di quei punti di vista particolarmente difficoltosi, che l’autore è abilissimo ad individuare e a catturare, intervallando la sua abitudine di percorrere a piedi la città per scoprirne i segreti a delle vere e proprie coraggiose scalate su rampe, palazzi e ponti per ottenere quelle ardue e vertiginose prospettive che caratterizzano la visione straniante della sua pittura.

L’interesse della mostra è dunque aumentato proprio dalla collocazione della galleria che la ospita, situata nel quartiere San Lorenzo proprio sotto alla Sopraelevata, nel cuore di quella zona di Roma che Ceccotti ama dipingere molto spesso, senza dimenticare però altre zone della capitale come la Garbatella e l’Ostiense. Questa vasta parte di Roma verso est (che va da San Giovanni a San Lorenzo e alla Tiburtina, passando per il Pigneto, la Casilina e la Prenestina) è sempre rappresentata dal pittore con un alone di mistero del tutto personale che non apre verso gli scenari di matrice più neorealista dei film citati, spingendo invece la sua pittura verso chiavi di lettura molto diverse.

In questi dipinti è spesso la Sopraelevata ad assumere un senso quasi simbolico, a divenire un elemento incombente che lega le diverse storie come uno scenario comune, come per esempio avviene in dipinti come Sera Metropolitana (1995) o Situazione Metropolitana (2000) dove un uomo penzolante nel vuoto cerca di salvarsi attaccandosi al cornicione metallico della Tangenziale Est o di un palazzo adiacente.

Il nostro artista è stato forse il primo pittore ad accorgersi del fascino “sinistro” della Sopraelevata, divenuta oggi uno dei temi più amati dai giovani pittori e fotografi di paesaggio urbano che (come ho notato in un articolo lo scorso anno) hanno ambientato molte delle loro immagini soprattutto nel tratto dove la Tangenziale sovrasta la Prenestina nei pressi del deposito ATAC, come avviene nei dipinti di Ceccotti Tram all’alba (1996) o Notturno, Via Prenestina (1997), senza dimenticare che dal punto di vista della Sopraelevata (come in una sorta di “soggettiva”) è ripreso l’intero paesaggio del dipinto La vita normale che dà il titolo a questa mostra.

Osservando questa serie di quadri ci accorgiamo che l’opera Situazione metropolitana ci accompagna dalla semplice attenzione per il paesaggio metropolitano alla decisa componente noir della pittura di Ceccotti (già notata da Alessandro Riva e da altri), un aspetto nutrito da molti rimandi alle riviste, ai romanzi, alle copertine e ai film gialli degli anni Trenta-Quaranta, riferimenti che si mescolano alle componenti metafisiche e a quell’atmosfera “surreale” che Edward Lucie-Smith ha recentemente sottolineato per l’artista romano e che in qualche modo avvicina di nuovo il nostro pittore ad Alfred Hitchcock (si ricordi ad esempio la collaborazione del regista con Salvador Dalì per Spellbound- Io ti salverò).

Seguendo una vena minacciosa di “crudele” incombenza, da sempre Ceccotti ci inganna con abilità, dandoci un’immagine apparentemente rassicurante della vita che si svolge nei suoi palazzi dipinti, nelle sue ville sul mare, un’esistenza tranquilla che sembra non accorgersi delle sciagure che la minacciano: aerei da guerra abbattuti e navi che affondano mentre si svolge una serena partita di tennis, incrociatori e caccia che si affacciano all’orizzonte di un mare da vacanza, musei immaginari che assistono impotenti ai crolli dei palazzi antistanti, carri armati funesti che appaiono dalla stessa televisione dove si compiono orrendi delitti.

Sergio Ceccotti, come certi pittori del Seicento, ci ricorda così della vanità di tutte le cose, del dolore che si nasconde nella gioia e nella spensieratezza, dell’inesorabile transitorietà dei piaceri (le torte e i dolci spesso in primo piano), e in questo senso sono già molto esplicite alcune sue opere come Elegia del 1974, o Meditazione del 1975, un titolo che non può non ricordare una barocca (o di un simbolismo posto tra Klinger e De Carolis) meditatio finis dove il contadino con la falce ci ricorda il nostro ultimo destino, annunciato dall’esplosione, dalla costruzione crollante e dal tunnel nero della Metropolitana che profetizza gli esiti di un fato inesorabile.

Eppure la bravura e la qualità “mentale” dell’opera di Ceccotti stanno anche nel rappresentare tutto con una dosa di raffinata e intellettuale leggerezza, dosando sapientemente le inquadrature, le scenografie e le luci dei suoi quadri, che il pittore è in grado di usare con le doti visive di un regista cinematografico capace di disseminare le sue immagini di indizi, di piccoli segnali rivelatori che danno al quadro un significato simbolico e si potrebbe dire quasi “concettuale” (per il quale spesso anche il titolo ha un’importante valenza) che lo spettatore può cogliere o ignorare all’interno dei continui rimandi tra interni ed esterni, tra le vetrate spalancate e i paesaggi, tra la città e le sue case.

All’interno di questo tessuto intrecciato di riferimenti incrociati va anche sottolineato l’uso consapevole del monitor televisivo come strumento di comunicazione, uno strumento che recita una parte significativa nella trama linguistica dell’opera: lo schermo costituisce uno degli aspetti più interessanti del lavoro di Ceccotti, dove spesso la televisione diviene una sorta di mediatico “quadro nel quadro” in un raffinato gioco di allusioni, di riferimenti e di “rispecchiamenti” tra dipinti e vita quotidiana, tra scrittura (i libri e le lettere sempre presenti) e immagini elettroniche, all’interno di un articolato e complesso passaggio di livelli posto in perenne bilico tra realtà e finzione.

E va notato anche che nell’apparente serenità de La vita normale il pittore ha inserito un elemento inquietante (ripetuto puntualmente nelle opere su carta ispirate al grande dipinto), un particolare allarmante che unisce quest’opera ad un altro quadro di poco precedente come Situazione Metropolitana.

Così, quando nel palazzo sopra Porta Maggiore si lavora al computer, si fa ginnastica e si coccolano i bambini, sta avvenendo un evento forse tragico, un fatto terribile che si compie mentre i treni e il tram incrociano i loro passaggi e i loro scambi di destini.

In una calda giornata, che possiamo immaginare di tarda primavera, il sole illumina le arcate di un antico acquedotto e i palazzi della Stazione Termini: nel tepore di questa lieta quotidianità solo l’occhio indiscreto di Sergio Ceccotti poteva inquadrare il dramma che, lontano ma incombente, grava come un’ombra inquietante sul tranquillo trascorrere della nostra vita normale.